Sopra ad alcune subimmagini di Carlo Buzzi (soggettivamente).
«Aloni di luce intorno a… falenate cose vacillanti d’infiammato divenire… Di fiamma, il più vivo di tutti i divenire… l’altrove decisivo che è “al di sopra”… In un palpebrare che inquieta la stanza di tremori… Ad ogni oggetto la sua aureola di precarietà e di solitudine… Tutte le forze naturali, attive nella fiamma d’una candela…
È la luce a creare il fuoco…Sovrafiamma: luce sorvolante sopra ai fuochi delle candele, nel fumo sopravvivente apice di splendore…»1
Appunto, qui sopra, tra i puntini di sospensione, alcune faville staccatesi e involatesi sopra ad una serie di fotografie del Carlo Buzzi. Il quale usa la fotografia così com’essa è: uno strumento “fintamente analitico”. Nel senso che la fotografianon documenta altro che la luce (etimologicamente e di fatto). Poi ci sono (analiticamente) i “soggetti” (nature morte, corpi, presenze, ecc.): posteriormente, postumamente, dopo la luce (che è il prima e che è prima dell’occhio…). E quale luce? Quella della fiamma con il suo lavoro di luce. Corpi sfuocati dal fuoco, dal fuoco messi a fuoco nel tempo.
Tempo d’una estenuata esposizione che eccede l’istante, che eccede la frazione ed il frammento, e che l’istante sottopone ad una anamorfosi luministica, rendendo percepibile, nell’istante anamorfizzato, ciò che chiamiamo “tempo”,chronos,divenire: ciò che arriva a sfiorare l’apparizione, l’epifania, rimanendo però incollato all’apparenza. Il nada della folgorazione… (l’istantaneo deistantaneizzato in alone).
Interni, presenze: “soggetti” assoggettati ad una diacronica sovraesposizione…Soggetti sovrani2: a dimostrazione che la fotografia è il mezzo del divenire, non dell’Essere; mezzo adatto a mostrare (fintamente analizzandolo) il “surpassato”, il “sovrapassato”. Ed il passato sorpassato è sovrapassato: è passato sopra di noi, è già oltre noi e ci attende…
Sovrapassato di oggetti e di figure messi, pugilisticamente3, nell’angolo del ring (quello di un interno): chiusi nell’angolo da un obbiettivo prolungatamente aperto; pressati, marcati. Non sotto ai riflettori del “dopoedison” nostrano ma al lume di candela: quella che sovraimpressiona e sovraesprime (subdola sovrana…) impressioni ed espressioni altrimenti inesprimibili ed inimprimibili; espressioni ed impressioni del Vivere, della discontinuità.
In un angolino d’esistenza, un pugno di luce nello stomaco delle forme.4
Un incompiuto messaggio, queste “storiette” di Carlo Buzzi, d’una civiltà ormai fermamente decostituita…5
Milano lì 31.XII.1998
Maurizio Medaglia Celibe
(*) Con rif. alla popolare conferenza Storia chimica d’una candela, tenuta da Michael Faraday durante uno dei suoi corsi serali (ai quali non ebbi il tempo di partecipare).Note.
Le sottolineature costituiscono un abstract dell’intero testo qui sopra composto e pensato, nella sua intierezza, anche per un eventuale sito internet.
1. Vagamente ripensando al Novalis de I discepoli di Sais e al Bachelard de La flamme d’une chandelle. E ad altro (altri) ancora…
2. Precisamente pensando al Bataille e al suo “paradosso della sovranità” e, con meno precisione, ai testi ontologici dei Bergson, Souriau e Jarry (“linea” assai poco lineare e allineata di pensatori…).
3. Espressamente ricordando Arthur Cravan (poeta-pugile-pelato,dada-vanito in un oceano al largo delle coste messicane…), impressionisticamente dimenticato.
4. Formalmente rivedendo le quali, s’intravedono delle natiche,dei glutei:ossia una delle “più belle caratteristiche somatiche della nostra Specie” (dal perfezionamento della postura eretta in avanti…). Un “elogio del culo” per il quale si rimanda il lettore ad uno squisito intervento di Giovanni Mariotti intitolato Elogio delle forme e del loro creatore, Corriere della Sera, Estetica, p.33, 2 gennaio 1999.
5. Ossimoricamente riprendendo una definizione data dal Carli nel ’52, della Maestà di Duccio e delle sue cinquantatrè “storiette” superstiti:«compiuto messaggio di una civiltà ormai fermamente costituita»
(messaggio che sta SOTTO AD ALCUNE SOVRAIMMAGINI DI DUCCIO DI BONINSEGNA-SOVRANAMENTE).
Amen.
NB.
Omessa dedica, qui sotto ripresa come dissertazione assertiva sopra alla fenomenologia del miraggio:
«ALLA MIA “FATA MURGANA”, ALLA MIA CAPRETTA, ALLA MIA CHIMERA, CHE PASCOLA SOPRA ALLO STRETTO DI MESSINA E SOTTO AI MIEI SGUARDI SENZA NÉ PONTI NÉ PONTEFICI, TRA KÖNIGSBERG (CON I SUOI SETTE PONTI) E IL SOTTOSCALA DELLA ‘RUE DE LA VIEILLE LANTERNE’ DI PARIGI (PASSANDO PER MARRADI,GENOVA,MONTEVIDEO E MOLTI E SUGGESTIVI “ALTRI LUOGHI”…)».