Nel 1991 Carlo Alberto Buzzi progetta e realizza la sua prima affissione pubblica a Milano con 140 manifesti esposti per 15 giorni nei quartieri più centrali della città (non casualmente uso il verbo ”esporre”). Si tratta di un poster di cm 100×70, recante in alto in grande la scritta VAN GOGH, al centro l’immagine fotografica di una grattugia di metallo per il formaggio, quindi un titolo, “tutte le opere” e per ultimo “orario 20.00 – 22.00”, null’altro.
Sempre nel 1991 e sempre a Milano, realizza un’altra campagna con manifesti dalla stessa struttura compositiva ma con il nome PICASSO al posto di quello di Van Gogh, l’immagine di uno scopino per wc, nessun titolo e, ancora, “orario 20.00 – 22.00”.
L’artista in questo modo porta la sua arte nelle strade, ma l’atto è parte integrante dell’opera. L’informazione veicolata dal medium pubblicitario è verosimile e falsa, essenziale ma visivamente appagante. I nomi scelti sono quelli che il grande pubblico conosce, ma anche gli oggetti e questo è rassicurante per la loro riconoscibilità e spiazzante per le loro associazioni. Si tratta di un’operazione precisa, dettata dal desiderio di superare i tradizionali luoghi (comuni?) dell’arte e di appropriarsi di altri ambiti della contemporaneità, quello comunicativo nello specifico, che con l’arte oramai devono misurarsi.
A queste iniziative negli anni ne sono seguite altre, con temi e soggetti molto diversi ma che hanno aderito sempre allo stesso schema realizzativo: ideazione, affissione pubblica secondo le normative comunali vigenti, formalizzazione e documentazione. Ora Carlo Alberto Buzzi ha progettato per Torino – in collaborazione con Paolo Tonin della omonima galleria d’arte contemporanea – una campagna di affissione di manifesti di tre tipologie diverse (80 per soggetto), a partire dal 28 ottobre 2015 e per 15 giorni, di cui una metà verranno presentati nel centro cittadino e l’altra nel quartiere Lingotto dove si terrà l’Art Fair Artissima. Ha recuperato i primi soggetti usati rendendo più scarne le composizioni al limite della scarnificazione vera e propria. In sostanza ha effettuato un’ulteriore riduzione degli elementi significanti presenti nei tre tipi di manifesti: i nomi di tre artisti, Van Gogh, Picasso e Mondrian (il primo nome di artista utilizzato per un fotomontaggio anteriore al 1990) e la nota grattugia di metallo per il primo, lo scopino per il wc per il secondo e, novità del 2015, un pollo spennato come possiamo trovare sul banco del macellaio o al supermercato, per il terzo. L’ambiguità comunicativa delle opere di vent’anni prima scompare con la sparizione degli orari e del titolo che pur essendo elementi insufficienti a dare uno scopo concreto al dispositivo comunicativo erano comunque elementi indirizzanti alla percezione di un intervento programmatico dalle molte sfaccettature. L’operazione formalmente rimane la stessa, un’affissione su quei muri che fanno un “luogo pubblico” ma l’informazione che ne risulta, e viene data, è differente: possiamo affermare essere più chiara? Più definita? Più spiazzante? È evidente la componente polemica nei confronti del così detto “sistema dell’arte” ma viene anche da chiedersi se l’artista si interroga ancora sul rapporto tra pubblicità e arte o meglio, sulle possibilità che un certo tipo di medium comunicativi, e l’idea stessa della comunicazione, possono agire nella creazione di un prodotto artistico con qualità diverse e obbiettivi diversi da quelli tradizionali. Forse questo rapporto ora è dato per acquisito, del resto sono passati molti anni dalla prima operazione, e quello che viene indagato ora è l’effetto di associazioni verbo-figurali che non sono più le “libere associazioni” dei surrealisti mutuate dagli studi psicologici, ma quelle che la cultura diffusa e “popolare” filtra (un paradosso questo) e propone come sistemi di pensiero che diventano poi schematismi di comportamento. È chiaro che Vincent Van Gogh non viene identificato con una grattugia più di quanto Pablo Picasso possa esserlo con uno scopino da wc o Piet Mondrian con un pollo, non è questo il messaggio dell’artista, ma piuttosto il quesito di come vengano recepite queste associazioni e di quale effetto producono nella mente dell’osservatore: e se tutto ciò abbia qualcosa a che fare con l’arte o piuttosto non con la sua banalizzazione (atto comunque di una certa rilevanza formativa nella contemporaneità).