Una schiena, nuda, e del vino, rosso. Queste le cose che occupano lo spazio visivo nell’ultima opera di Carlo Buzzi. Sono oggetti comuni e riempiono interamente la scena.
Se chiedete all’artista il perché di una simile scelta vi racconterà una storia differente da quella che state leggendo. Vi parlerà di interviste televisive a star del jet-set artistico e dei sorrisi ironici che inevitabilmente certi atteggiamenti gli suscitano.
Ma non è detto che le diversità si escludano l’un l’altra e siano incompatibili.
La particolarità delle opere di Buzzi non riposa unicamente nel mezzo comunicativo che egli ha adottato e nel contesto in cui vengono situate (lo spazio urbano); ma anche negli oggetti raffigurati, cose riconoscibili: bicchieri, tonache, bacchette magiche o bastoni da rabdomante, cicche da masticare e, onnipresente, il corpo umano. La tipicità dei suoi lavori è anche nel fatto che tutti i “pezzi” della composizione sono accostati in maniera sorprendente o ritratti in modo inedito. Ne scaturisce un senso di straniamento per l’impossibilità di rinvenire un legame diretto tra l’immagine e un significato ordinario, comune, regolare, tradizionale.
Aleggia sull’opera un senso misterioso, enigmatico. Ma l’arcano non è destinato a svelarsi perché esso non è “domanda” che esige risposta, ma strumento da usare per porsi altre interrogazioni; e darsi altre risposte, non legate direttamente a ciò che è rappresentato.
È un lavoro metafisico (come, da altro punto di vista, ben scrive Alpini).
E qui chiudiamo il cerchio e ritorniamo a Buzzi che definisce il suo lavoro ironico. Molti degli strani accoppiamenti presenti nelle sue opere nascono, come ci ha confessato l’artista, con intenti sardonici per portare a visibilità certi comportamenti e stili di vita.
Red Back Wine s’inserisce limpidamente in queste modalità d’azione e in più lascia emergere la corrente carsica su cui si sviluppa ultimamente l’arte di Buzzi: un’atmosfera elusivamente immateriale e quasi spirituale che serenamente si coglie guardando il calice di vino o il saio o la bacchetta del rabdomante. Red Back Wine è, dunque, opera urbana metafisica.
Da Red Back Wine sgorga una fantasiosa essenzialità capace di superare le difficoltà del racconto breve (quello che si serve di poche parole e pochi elementi) e capace di durare a lungo, suscitando quesiti ma lasciando libere le risposte.
Stefano Roberto Mazzatorta
Direttore Galleria Civica Campione d’Italia