Carlo Alberto Buzzi: vedere alla voce del verbo «instradarsi»: «mettere in movimento o far proseguire per una strada». E Buzzi, al quale non interessa praticare la forma artistica dell’instaurazione, si instrada: si pone in relazione col movimento stradale attraverso la forma più abusata e sovrausata della relazione: la fotografia.
Egli sceglie di “inluiarsi” ed “inleiarsi” (nel senso dantesco di tali verbi…) mediante la fotografia installata negli spazi normalmente dedicati all’affissione pubblicitaria.
Sostituendosi, anima e corpo, alla pubblicità (all’anima del commercio) egli si comunica agli altri (anziché comunicarci un messaggio) utilizzando la toponomastica a mo’ d’una tastiera di comunicazione dove ogni tasto, ogni contesto, suona la propria nota distinta dalle altre: differente. Perché è chiaro che la corporeità del Carlo Alberto Buzzi suonerà differentemente se esposta in una stazione della metropolitana milanese che a Viconago o su una linda parete di una galleria. Ciò che rimarrà identico di tale suono o rumore, aldilà del contesto e dei conseguenti echi e riverberi, sarà l’efficacia del senso: quella frizione, quel breve contatto (ironico, sarcastico o feroce) che, sfacciato o pudico (mai compiacente), tale instradamento di sé produce negli altri.
Pertanto Buzzi è più di un doppio e la sua politica interiore è volta a condizionare (negoziandolo) il nostro interesse di elettorato senza eletti, per le di lui scelte espressive. Scelte per un mezzo senza mezzi termini (la fotografia) che non è più un mezzo tra gli altri (un medium tra imedia, mediaticamente…) ma un termine, un confine: quello tra artisticità ed extrartisticità e tra noi e lui, anzi, loro: i Buzzi. Come in una Jam-session…
Maurizio Medaglia (Celibe)
1999